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Banditi a Milano (1968)  
Musiche
Riz Ortolani
Scene acrobatiche
Remy Julienne
Con
Gian Maria Volontè
Piero (Cavallero)

Don Backy
Sandro Giannantonio (Sante Notarnicola)

Ray Lovelock
(come Raymond Lovelock)
Tuccio (Donato Lopez)


Ezio Sancrotti
Bartolini (Adriano Rovoletto)

Carla Gravina
Mitomane al telefono

Margaret Lee
Cantante in cerca di successo

Tomas Milian
(Doppiato da Pino Colizzi)
Commissario Basevi

Piero Mazzarella
Invalido civile e testimone

Laura Solari
Madre di Tuccio

Pietro Martellanza
(come Peter Martell)

Maria Rosa Sclauzero
Segretaria di Piero

Ida Meda
Moglie di Piero

Emi Rossi Scotti


Aldo Vigorelli


Enzo Fisichella
Poliziotto che interroga la segretaria di Piero

Gianni Bortolotti
Questore

Ivan Giovanni Scratuglia


Gianni Pulone


Toto Ruta
Uomo a cui devastano il club

Muzio Joris
Poliziotto (*)

Agostina Belli
Donna presa in ostaggio (*)

Vittorio Pinelli
Andrea, malavitoso (*)

Guido Spadea
Dipendente banca (*)

Ugo Bologna
Funzionario di Polizia (*)

Pupo De Luca
Proprietario della Fiat 1100 (*)

Luigi Rossetti
Se stesso (*)

(*) non accreditato




"[...] "Banditi a Milano" [...] unisce [...] ad una ricostruzione documentaristica di fatti realmente accaduti un'interpretazione in chiave umana e sociale dei fatti stessi; senza mai perdere di vista le esigenze della suspence ma neanche quelle di un discorso intelligente; arrivando ad un raro equilibrio in cui i valori artistici e spettacolari, anziché nuocersi, si esaltano a vicenda. [...] Un solo difetto ha il film: quello di una falsa partenza. Prima di affrontare la cronaca della giornata di sangue e la descrizione in flashback dei suoi antefatti, Lizzani spende una decina di minuti a mostrarci in una sorta di esemplificazione sceneggiata i vari aspetti della malavita nella nascente megalopoli lombardo-piemontese. [...] A parte ciò, comunque "Banditi a Milano" non può che essere lodato. [...] Tra gli interpreti, va ricordato in primo luogo Gian Maria Volonté, nei panni del capobanda esaltato e vigliacco: un ritratto magistrale, da attore tanto grande quanto coraggioso. Lo affiancano ottimamente, quali gregari, uno scavato Don Backy, un più che giusto Ezio Sancrotti e il molto promettente Raymond Lovelock. Tomas Milan s'incarica con garbo e umanità di disegnare un gustoso tipo di giovane commissario napoletano. [...]"
Bir. (Guglielmo Biraghi) - Il Messaggero - 31/03/1968

"[…] Carlo Lizzani […] [ha realizzato] una pellicola rapida e scattante, ben “girata” e ben montata, in cui spettacolo ed interrogativi problematici vanno a braccetto, pur con qualche ambiguità, e in cui le componenti moralistiche e psicoanalitiche, che nelle pellicole hollywoodiane s’accompagnano all’esame delle psicologie delinquenziali, sono state evitate, anche se, d’altra parte, un vero e proprio approfondimento della situazione italiana non c’è, ché forse avrebbe portato il discorso più lontano da quel che la pellicola si era prefisso. […]"
Aldo Scagnetti - Paese Sera - 31/03/1968

"[...] Critico, storico del cinema, regista di opere sempre interessanti, non sempre riuscite [...], Lizzani ha dimostrato, seguendo i passi di alcuni illustri hollywoodiani come Stevens e Zinnemann, che i registi di severa formazione intellettuale riescono nel film d'azione meglio degli "ingenui". Li arricchiscono infatti dell'aura stregata, della commozione riflessa, della civiltà industriale: in questo film Milano appare infatti come dotata di una dimensione metafisica, doviziosa dell'arcana malinconia dei luoghi gremiti di gente in cui si intrecciano diversi e contraddittori destini. La interpretazione è buonissima: piemontese d'origine, Gianmaria Volontè porta nella figura di Piero la conoscenza dei modi di dire, delle piccole retoriche quotidiane, dei ritegni e delle smorte galanterie della periferia torinese; Don Backy è un complice persuasivo ed incisivo. E ricco di rilievo è Tomas Milian nella parte del commissario; e, al solito, di rotonda efficacia Piero Mazzarella nel ruolo dell'invalido che fu il primo ad indicare e ad acciuffare l'autista della banda. [...]"
Pietro Bianchi - Il Giorno - 05/04/1968


I fatti: il 3 ottobre 1967, in un casello ferroviario abbandonato nei pressi di Valenza Po, si conclude la fuga disperata, durata più di una settimana, di Pietro Cavallero e Sante Notarnicola, rispettivamente capo e braccio destro della banda di rapinatori destinata a diventare la più (tristemente) famosa d'Italia per un lungo periodo, almeno fino all'avvento del bel Renèe, alias Renato Vallanzasca. La specialità della banda era quella di infilare delle doppiette ai danni delle banche, cioè di rapinarne due (e talvolta tre) praticamente una dopo l'altra; strategia che, se da una parte aumentava i rischi di essere colti in flagrante, dall'altra ne aumentava paradossalmente le probabilità di successo, ingenerando confusione e disperdendo le forze di polizia alla loro caccia su più fronti. Una banda, quella del Cavallerissimo, di assoluti professionisti della rapa, e, utilizzando un termine che si diffonderà solo molti anni dopo, di pendolari del crimine, che risiedevano a Torino ma che privilegiavano piazzare i loro colpi presso istituti di credito milanesi e rientrare alla base facendo perdere le proprie tracce, riassumendo le normali maschere di insospettabili. Ma qualcosa andò storto nella loro ultima, terribile diciassettesima rapina. Rubando una citazione a Carlo Lucarelli, si potrebbe dire che Milano, nel grigiore di un pomeriggio di fine settembre, in cui lo smog si invischia indissolubilmente alle prime nebbie autunnali, è una citta bellissima. Adriano Rovoletto, l'autista della banda, ruba una Fiat 1100 da un parcheggio poco distante dal bersaglio scelto per la rapina, il Banco di Napoli di Largo Zandonai, e attende come di consueto all'esterno mentre i complici assaltano la banca; ma una negoziante nota dei movimenti sospetti e avverte il 113 che, già in allerta, si mette immediatamente sulle tracce dei banditi. Inizia così un drammatico e spettacolare inseguimento tra l'auto dei banditi e le volanti della Squadra Mobile per le vie di Milano che si lascerà dietro una lunga scia di sangue. Secondo le cronache del tempo (Almanacco Storia Illustrata 1967) "(...) Come in una Chicago degli anni '30, i gangster si fanno strada per le vie della metropoli con selvaggia ferocia esplodendo raffiche sulla folla con mitra e pistole. Cadono fulminati il camionista di 53 anni Virgilio Odone e il trentacinquenne Franco De Rosa, ucciso sulla sua 600. E' mortalmente ferito il diciasettenne Giorgio Grossi. (...) Bilancio dei feriti: 15 civili e 6 agenti. L'invalido Roaldo Piva (55 anni), che ha contribuito alla cattura di Rovoletto, muore il 28 stroncato dall'emozione. Angela Maggi (52 anni) muore per le ferite il 1° dicembre". L'inseguimento in auto, snodatosi per ben 12 km., si conclude definitivamente quando due agenti in borghese su una Fiat 850 (coraggio loro) speronano l'auto dei malviventi che interrompe la propria corsa contro un albero. Rovoletto, con un braccio spezzato da una pallottola, nonostante il tentativo di mimetizzarsi tra la folla viene riconosciuto e catturato, rischiando di essere linciato. Messo alle strette è costretto a rivelare i nomi dei suoi complici; Donato Lopez, minorenne e recluta del gruppo, viene arrestato il giorno successivo nella sua abitazione sotto gli occhi atterriti della madre, per gli altri due scatta una gigantesca caccia all'uomo che però si risolverà in maniera incruenta, grazie ad una segnalazione, solo 8 giorni dopo. Il fatto di cronaca colpisce violentemente l'intera opinione pubblica, non solo per l'estrema gravità ma anche per il drammatico spettacolo offerto dalla vicenda stessa, sicchè contestualmente al giudizio di primo grado della Corte d'Assise di Milano, che infligge pene durissime ed esemplari alla banda (ergastolo per Cavallero, Notarnicola e Rovoletto, 12 anni e 7 mesi per Lopez, che accolgono la sentenza intonando una famosa canzone anarchica) nelle sale cinematografiche italiane esce "Banditi a Milano", uno dei primi e più riusciti esempi di instant-movie all'italiana, per la regia di Carlo Lizzani. Il film riceve una buona accoglienza dal pubblico e anche dalla critica, partecipa al Festival di Berlino e vince alcuni David di Donatello, sebbene l'originale mano di Lizzani sia per molti versi audacemente avanti coi tempi. Il regista, infatti, ricostruisce con meticolosità e crudezza il tragico pomeriggio milanese ma anche tutto ciò che gli fa da contorno: da un lato la mala che stava cambiando le sue usanze in maniera più violenta e insopportabile attraverso il racket e la prost



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